Bonus in busta o fringe benefit – i vantaggi del datore e del lavoratore

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Bonus in busta o fringe benefit. Quale beneficio conviene al datore?

Una misura di vantaggio in deroga ad una parte dell’impianto dell’articolo 51, comma 3, del TUIR – stabilita dall’Aiuti bis (D.L. n. 115/2022, L. n. 142/2022) per il periodo d’imposta 2022 – è l’innalzamento del limite di esenzione da tassazione per beni e servizi forniti al dipendente dall’azienda. Non 258,23 euro, ma 600 euro.  Preme precisare che tale aumento sarà pari ad € 3000 a fronte del decreto aiuti quater in via di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.

Di più: nel nuovo limite rientrano le erogazioni liberali dei datori di lavoro a sostegno delle spese per utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. Pertanto, la temporanea previsione si distingue non solo per il vincolo della tipologia di beni e servizi rispetto a quelli genericamente stabiliti dal TUIR (già citato art. 51, co. 3), ma anche per le modalità di riconoscimento al lavoratore, consentendo dazioni in denaro datore di lavoro/dipendente (purché coerenti con le finalità previste).

Attenzione, però, che la norma che ospita il beneficio alternativo (senz’altro più vantaggioso quest’anno rispetto ai passati), vale a dire l’articolo 12 del D.L. n. 115/2022, non deroga anche il meccanismo della franchigia, come chiarisce l’Agenzia delle Entrate nel documento di prassi n. 35 del 4 novembre 2022. In forma cristallina, pertanto, viene precisato che il superamento del limite di 3000 euro comporta – né più né meno come previsto dall’originario articolo 51, co. 3, TUIR – l’imponibilità per intero dell’importo, non della sola quota eccedente.

Quantificare il risparmio che ne deriva per il datore di lavoro si traduce nel fornirgli una concreta risposta all’appetibilità dei fringe benefits utilizzabili nell’anno in corso. Correlarlo all’importo aggiuntivo in busta paga gli offrirebbe la soluzione, anche gestionale, alla questione sul potenziale della novità.

Quanto, in definitiva, risparmierebbe il datore che, in alternativa al bonus in busta paga (con l’erogazione di un premio una tantum sul corpo del cedolino), decida di riconoscere un fringe benefit, di pari importo, rispettando il nuovo limite di esenzione?

Poniamo il caso di un lavoratore inquadrato al livello IV del settore commercio, la cui retribuzione mensile di base sia pari a  1.618,75 euro. Il suo datore di lavoro, volendo riconoscergli un emolumento aggiuntivo,  può:

  1. erogare al lavoratore un importo una tantum nel corpo del cedolino;
  2. optare per l’erogazione di fringe benefits che si mantengono, su base annua, sotto la soglia di esenzione.

Ebbene, nel caso a. l’importo erogato è imponibile tanto sotto l’aspetto fiscale quanto sotto quello contributivo. Viceversa, nel caso b. il datore di lavoro conseguirebbe un risparmio con il nuovo limite di non concorrenza reddituale, cui si somma il risparmio fiscale del datore di lavoro, conseguito in seguito alla piena deducibilità del costo di acquisto dei beni e servizi erogati. Il lavoratore si vedrà riconoscere un importo netto più alto nel caso b rispetto al caso a, in quanto non assoggettato neanche per il dipendente né a contribuzione né a imposizione fiscale.

Non può che contribuire al dato positivo l’ulteriore, specifico beneficio del poter cumulare i fringe benefits erogati nel 2022 con il bonus carburante, di importo fino a 200 euro.

Esempio:

Lavoratore inquadrato al livello IV  – CCNL Terziario   Retribuzione + premio stabilito    in 600,00 euro (imponibile)  Retribuzione + fringe benefit       pari   a 600,00 euro (non   imponibile   fino a quella cifra)
Retribuzione erogata 1.618,75+600,00 euro 1.618,75 + 600,00 euro
Contribuzione INPS 651,20 euro 475,10 euro
Totale costo azienda 2.869,95 euro 2693,85 euro
                                           Differenza:                      176,10 euro
Risparmio (%) 0% 6%
Al lavoratore In busta  € 450,00 In busta € 600,00

 

L’occasione la dà, quest’anno, l’aver  il nostro Legislatore considerato, nella più ampia disciplina fiscale dei redditi da lavoro dipendente, la particolare disciplina dei fringe benefits quale eccezione al principio generale di onnicomprensività della retribuzione. Perciò, se in generale i fringe benefits sono componenti della retribuzione oggetto di imposizione fiscale e contribuzione, in questa specifica situazione, l’esclusione dei fringe benefits dalla imponibilità deriva da misure strutturali.

Non è tutto. Rientrano, quest’anno, tra i fringe benefits i beni e i servizi ceduti al coniuge o ai familiari. I destinatari sono, dunque, il coniuge del lavoratore o i familiari indicati nell’articolo 12 del Tuir. Di più: non sono imponibili beni e servizi per i quali sia attribuito il diritto di ottenerli da terzi.

Inoltre la stessa Agenzia delle Entrate ha confermato la possibilità di erogare i fringe benefits ad personam.

Un passo indietro, fino alle utenze domestiche: tra i beni e i servizi da esentare, la citata circolare n. 35/E/2022 fa rientrare le utenze relative a immobili a uso abitativo posseduti o detenuti, sulla base di un titolo idoneo, dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, senza che rilevi che negli stessi abbiano o meno stabilito la residenza o il domicilio. Quindi, anche le utenze per uso domestico intestate al condominio (ad esempio, idriche o di riscaldamento) e quelle per le quali, pur essendo intestate al proprietario dell’immobile (locatore), nel contratto di locazione è prevista espressamente una forma di addebito analitico e non forfetario a carico del lavoratore (locatario) o del coniuge e familiari.

In tutti i casi, il benefit spetta solo per la parte effettivamente rimasta a carico del beneficiario e senza possibilità di fruirne due volte.

Per ultimo, i fringe benefits riguardano tanto i titolari di redditi di lavoro dipendente quanto quelli assimilati.

Atteso che la nuova disposizione è riferita al solo anno di imposta 2022, si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori corrisposti entro il 12 gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono (principio di cassa allargato), e le somme erogate dal datore di lavoro (nell’anno 2022 o entro il 12 gennaio 2023) possono riferirsi anche a fatture che saranno emesse nell’anno 2023, purché riguardino consumi effettuati nel corrente anno.

Si è qui detto, con supporto tabellare, della convenienza in termini di risparmio e dei vantaggi in termini di beni e servizi ricadenti nel beneficio. Non resta che rammentare che (a meno di proroghe) la straordinaria maggiorazione a 3.000,00 euro del limite cui vengono sottoposti i fringe benefits in relazione alla tassabilità, terminerà il 31.12.2022. Dall’anno venturo, si tornerà all’esenzione per importi erogati che non superino i 258,23 euro.

 

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Il dipendente e la responsabilità extracontrattuale nei rapporti di lavoro

responsabilità extracontrattuale del lavoratore

 

L’illecito compiuto in ambito non contrattuale comporta una responsabilità extracontrattuale derivante da rapporti (anche di lavoro) tra soggetti non precedentemente legati da un vincolo obbligatorio. L’espressione è usata come sinonimo di responsabilità civile, in opposizione a quella contrattuale.

La specifica responsabilità extracontrattuale del lavoratore dev’essere, però, inquadrata nella verifica di violazioni da egli commesse che danno luogo ad una responsabilità, per l’appunto, non contrattuale.

In effetti, il lavoratore è soggetto alla responsabilità contrattuale, che discende dagli specifici obblighi assunti con la stipulazione del contratto di lavoro e che si realizza con l’inadempienza di tali obblighi, come pure può essere soggetto alla responsabilità extracontrattuale, che prescinde dalle statuizioni del contratto di lavoro e che discende da un illecito, penale o amministrativo.

Le due tipologie di responsabilità hanno ognuna il proprio fondamento legislativo. Norme differenti, dunque; in particolare, la responsabilità contrattuale fa riferimento agli artt. 2104 C.c. e seguenti, prevedendo che in capo al lavoratore sia posto il dovere di diligenza, l’obbligo di fedeltà e quello di lealtà; la responsabilità extracontrattuale ha, viceversa, quale riferimento primo l’art. 2043 C.c. – “Risarcimento per fatto illecito” – a norma del quale “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”. E’ non altro che il principio conosciuto nel diritto come “neminem laedere”.

Eccoci dunque alla distinzione, benché le due tipologie di responsabilità possano andare di pari passo quando il lavoratore dipendente, adempiendo alle attività lavorative, violi uno degli obblighi incombenti in qualità di lavoratore e, contestualmente, commetta un illecito.

Ad esempio, se nell’esercizio delle mansioni il lavoratore dipendente si appropriasse di somme di danaro affidategli dal datore si renderebbe, sì, responsabile di un illecito contrattuale – rappresentato dalla violazione del dovere di eseguire la prestazione lavorativa nell’osservanza delle regole di correttezza (ex art. 1175 C.c.) e di diligenza (ex art. 2104 C.c.) – epperò, il medesimo comportamento costituirebbe anche un illecito extracontrattuale per aver egli leso il diritto assoluto all’integrità del patrimonio, di cui è titolare il suo datore indipendentemente dal contratto di lavoro.

Un interrogativo opportuno a questo punto della disamina è se possa il datore di lavoro rivalersi sul lavoratore per il danno che ha subìto.

La Corte di Cassazione afferma di sì. Il datore di lavoro è legittimato ad agire in giudizio per il risarcimento del danno sia in via contrattuale, sia in via extracontrattuale. Le due azioni producono diverse logiche processuali, ad esempio in ordine al regime dell’onere probatorio, posto che per la prima tipologia di responsabilità – quella contrattuale – è sufficiente che il datore dimostri l’esigibilità del diritto al corretto adempimento, mentre per la seconda – quella extracontrattuale (o “aquiliana”) – sarà necessario provare anche il nesso di causalità tra il fatto e il danno.

È bene quindi tenere presente che, indipendentemente dalla fonte della specifica responsabilità (che, prima tra tutte, distingue le due tipologie), il datore di lavoro ha diritto ad ottenere il risarcimento quando il lavoratore provoca un danno al suo patrimonio.

Si inserisce in questo contesto la questione dell’addebito della responsabilità extracontrattuale, per il quale è necessaria l’imputabilità. Cioè a dire, il comportamento colpevole è da ricondurre al soggetto fornito di adeguata capacità di intendere e di volere.

Invero, sfogliando di poco oltre il Codice civile, l’art. 2046 recita: “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d’intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa”.

Ne discende cosa? Che chi è incapace di autodeterminarsi consapevolmente non può essere sottoposto a sanzione penale (art. 85 C.p.), a responsabilità civile, né imputato per il risarcimento del danno arrecato a terzi.

A chi spetta allora, nella responsabilità extracontrattuale (o aquiliana), l’onere della prova? Ebbene, è chi agisce per ottenere il risarcimento a dover dimostrare non solo i fatti costitutivi della sua pretesa, ma anche il nesso di causalità (“onus probandi incumbit ei qui dicit”, principio giuridico tradizionale che si sostanzia nel porre a carico della parte che allega un fatto a sé favorevole, il dovere di darne prova dell’esistenza).
Ennesimo requisito della responsabilità aquiliana è la colpevolezza, configurabile in tale tipologia di responsabilità distinta negli elementi della colpa e del dolo. Genericamente, senza che l’art. 2043 C.c. definisca le condotte.

Concludendo, in via sinottica le distinzioni tra l’una e l’altra responsabilità, atteso (come fin qui dimostrato) che il lavoratore può incorrere anche in quella extracontrattuale, sono:

  • Responsabilità contrattuale

1. Capacità di obbligarsi, cioè di agire.
2. Onere della prova in capo al debitore (che nel rapporto di lavoro sarà il dipendente).
3. Danni risarcibili (in caso di dolo, solo quelli prevedibili nel tempo in cui è sorta l’obbligazione).
4. Prescrizione: termine ordinario di dieci anni.
  • Responsabilità extracontrattuale (aquiliana)

1. Capacità naturale, cioè di intendere e di volere.
2. Onere della prova in capo all’attore (colui che pretende il risarcimento, che nel rapporto di lavoro sarà il datore).
3. Danni risarcibili: tutti, quali conseguenza immediata e diretta della condotta dell’agente.
4. Prescrizione: termine di cinque anni.

 

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Durc di congruita’

DURC di CONGRUITA'

 

Durc di congruità, sostanza nei doveri dell’Azienda. Il ruolo del Consulente è formale

Dal 1° novembre 2021, al Documento Unico di Regolarità Contributiva il Legislatore ha inteso abbinare, in edilizia, il documento relativo alla congruità dell’incidenza della manodopera impiegata nella realizzazione dei lavori. Alla previsione è sottesa la ratio di contrastare fenomeni di dumping contrattuale (l’applicazione, al settore edile, di contratti di natura diversa, provocando la distorsione della concorrenza tra imprese e un danno all’equa retribuzione, alla formazione e alla sicurezza dei lavoratori), per favorire l’emersione del lavoro irregolare.

La verifica della congruità è assegnata alla Cassa Edile in ragione dell’accordo tra il Ministero del Lavoro e le parti sociali firmatarie del Ccnl comparativamente più rappresentative del settore.

Le modalità operative da adottare assicurando l’attuazione del sistema sono contenute nel decreto n. 143/2021.

Alla verifica della congruità nei lavori pubblici (senza soglia minima) e in quelli privati (con soglia, dal momento che il loro valore dev’essere pari o superiore a 70mila euro), sono tenuti: le imprese affidatarie; le imprese in appalto o subappalto; i lavoratori autonomi coinvolti nella esecuzione dei lavori edili. Ad essi, e alle informazioni che dichiarano alla Cassa Edile/Edilcassa territorialmente competente, è perciò imposta la verifica. Se il committente effettua variazioni riferite ai lavori oggetto di verifica, l’impresa deve dimostrare la congruità in relazione al nuovo valore determinato dalle varianti.

Sono, invece, esclusi da questo ingranaggio i lavori affidati per ricostruire i territori colpiti dal sisma del 2016, destinatari a suo tempo di specifiche ordinanze.

Gli indici minimi di congruità riferiti alle singole categorie di lavori (Tabella A allegata all’Accordo collettivo del 10 settembre 2020), ovvero percentuali minime al di sotto delle quali scatta la presunzione di non congruità, costituiscono l’oggetto della verifica.

Tanto detto, l’adempimento del DURC di congruità non dev’essere sottostimato. Ne è prova l’aspetto punitivo collegato all’inadempienza: l’impresa, il soggetto da essa delegato o il committente che rivolge richiesta alla Cassa Edile (intendendo tutte le Casse Edili del sistema nazionale CNCE), può non ottenere il rilascio del documento per difformità riscontrate che, evidenziate analiticamente, non vengano regolarizzate in un termine normativamente stabilito in quindici giorni. In tale situazione l’impresa, il soggetto delegato o il committente (in sintesi, il richiedente) riceve esito negativo, con indicazione degli importi a debito e delle cause di irregolarità.

Ecco che, come conseguenza, l’azienda viene iscritta nella Banca Nazionale delle imprese Irregolari (BNI). L’esito incombe sulle successive verifiche di regolarità contributiva finalizzate al rilascio del DURC online.

Viceversa, in caso di riscontro positivo l’attestazione di congruità viene rilasciata entro dieci giorni dalla richiesta.

Quali informazioni dà l’impresa ai fini del rilascio del DURC di congruità? In linea generale, fornisce i dati del cantiere di attività, le ore lavorative e le festività attribuite. Per il subappalto, anche il valore delle opere subappaltate, il nominativo delle imprese subappaltatrici, la data di inizio e di fine lavori eseguiti in subappalto. Fornisce, poi, il nominativo (e il codice fiscale) di ciascun lavoratore non dipendente, se nel cantiere sono presenti lavoratori autonomi, titolari di azienda, soci o collaboratori familiari prestanti lavoro.

A partire dalla operatività del DURC di congruità, ogni cantiere diventa assegnatario del codice univoco CNCE” (il codice univoco di cantiere) al fine di poter essere censito.

Buona pratica sarebbe che le imprese elencate – tutte, con o senza dipendenti, che, anche a titolo di subappalto, operano nel settore edile per ogni attività, comprese quelle affini – monitorassero costantemente queste informazioni allo scopo preventivo di autovalutarsi in termini di congruità.

Che ruolo ha il Consulente del Lavoro?

Nella filiera descritta, il ruolo del Consulente risulta formale. Per ottenere la regolarità di cantiere ciascuna impresa coinvolta da quella affidataria, con il supporto dei servizi associativi o del proprio consulente, dovrà indicare alla Cassa Edile/Edilcassa, nella denuncia mensile, il numero di ore lavorate in quel cantiere dai propri dipendenti (o in proprio, se lavorate da titolari, soci o lavoratori autonomi), abbinandole al codice univoco assegnato. L’indicazione delle ore lavorate avviene inviando al Consulente un report del numero di esse. Questi le caricherà nel Modello Unico Telematico (MUT).

Il passaggio ora descritto per la rilevazione delle presenze avviene distinguendo tra Consulenti del Lavoro fortemente strutturati, che utilizzano un software professionale di rilevazione presenze, nel qual caso l’iter di denuncia sarà automatizzato; Consulenti del Lavoro che gestiscono i cantieri all’interno del software paghe, inserendo le paghe in denuncia ma compilando le ore a mano sui cantieri; Consulenti del Lavoro che non gestiscono i cantieri all’interno del software paghe (la maggioranza). Nell’ultimo caso, la denuncia Cassa Edile sarà compilata interamente a mano.

Al di fuori di tale transito tra l’azienda e il suo Consulente del Lavoro e della trasmissione, ad opera di questi, in denuncia mensile, del numero di ore effettivamente lavorate in cantiere, non vi sono ulteriori adempimenti che egli debba porre in essere per la buona riuscita della pratica.

Tutto (o quasi) è pertanto affidato all’impresa, unica a dover rispondere di eventuali irregolarità che precludano il rilascio del documento.

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LAVORO INTERMITTENTE DOPO IL DECRETO TRASPARENZA

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LAVORO INTERMITTENTE: LE NOVITA’ DOPO IL DECRETO “TRASPARENZA”

Come anticipato lo scorso mese, il Decreto “Trasparenza” ha introdotto diverse novità in ambito contrattuale, volte principalmente a sostegno del diritto all’informazione sugli elementi essenziali del rapporto di lavoro, sulle condizioni del rapporto e sulla relativa tutela dei dipendenti. In questa sede, riteniamo importante soffermarci sull’evoluzione normativa che coinvolge la disciplina dei contratti di lavoro intermittenti, premettendo che ad oggi, si attendono ancora delucidazioni da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, considerate le repentine trasformazioni che hanno generato non poca confusione.

Riportiamo di seguito le principali novità introdotte dall’ art. 5 del D.Lgs n. 104/22, che dovranno essere comunicate per iscritto ai lavoratori:

  1. Natura variabile della programmazione del lavoro, durata e ipotesi oggettive o soggettive che consentono la stipulazione del contratto;
  2. Luogo e modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore;
  3. Trattamento economico e normativo spettante al lavoratore, con l’indicazione dell’ammontare delle eventuali ore retribuite garantite e della retribuzione dovuta per il lavoro prestato oltre le ore garantite, nonché la relativa indennità di disponibilità ove prevista;
  4. Forme e modalità con cui il datore è legittimato a chiedere l’esecuzione della prestazione e il relativo preavviso, nonché la modalità di rilevazione della stessa;
  5. Tempi e modalità di pagamento della retribuzione e dell’indennità;
  6. Misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività;
  7. Eventuali fasce orarie e giorni predeterminati in cui il lavoratore è tenuto a svolgere la prestazione lavorativa.

 

-D. Lgs n. 104 del 27/06/2022

-INL circolare n. 4 del 10/08/2022

 

 

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Decreto Trasparenza

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Trasparenza nel lavoro. Vicino alla ufficialità lo schema di decreto legislativo che innova

A giugno, il Consiglio dei ministri approvava in via definitiva gli schemi dei decreti legislativi che recepiscono le direttive (UE):

  • 2019/1158 (Parlamento europeo e Consiglio), del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza (che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio);
  • 2019/1152, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea.

La prima delle due promuove il miglioramento della conciliazione tra i tempi della vita lavorativa e i tempi della vita familiare per tutti i lavoratori che hanno compiti di cura in qualità di genitori e/o di prestatori di assistenza (i cosiddetti “caregivers”), per conseguire una più equa condivisione delle responsabilità tra uomini e donne e promuovere un’effettiva parità di genere in ambito lavorativo, non solo familiare.

Lo schema di decreto, modificando e integrando interviene sul Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151) e su diverse disposizioni di legge.

Sulla seconda direttiva, il relativo schema di decreto interviene, con modifiche e integrazioni, tanto sul testo del D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 152 – che reca “Attuazione della direttiva 91/533/CEE concernente l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro” – quanto su altre disposizioni di legge.

Entrambi gli schemi di decreto si muovono in ottica di armonizzazione e coerenza con il nuovo dettato normativo.

I profili di novità della direttiva (UE) 2019/1152 possono essere sintetizzati come segue:

  • nuove tutele minime per garantire che tutti i lavoratori, inclusi quelli che hanno contratti non standard – come i rapporti di collaborazioni continuative organizzate dal committente anche tramite piattaforme, il contratto di prestazione occasionale, il contratto di collaborazione coordinata e continuativa – beneficino di maggiore prevedibilità e chiarezza in materia di trasparenza delle informazioni sul rapporto e le condizioni di lavoro;
  • ampliamento del campo di applicazione soggettivo della disciplina in materia di obblighi informativi gravanti sul datore di lavoro, che viene esteso ai lavoratori impiegati con tipologie contrattuali non standard.

Lo schema di dlgs – predisposto in attuazione della disciplina di delega di cui all’art. 1 e all’Allegato A, n. 25) della Legge di delegazione europea 2019/2020 – è volto al recepimento della direttiva ora richiamata. Il termine per il recepimento è prossimo a scadere: 1° agosto 2022.

La direttiva è tesa al miglioramento dell’accesso dei lavoratori alle informazioni che riguardano le loro condizioni di lavoro. E’ anche tesa a salvaguardare l’adattabilità e l’innovazione del mercato del lavoro in ottica miglioramento delle condizioni lavorative e a rafforzare le misure di tutela preposte al rispetto delle regole in materia di condizioni di lavoro. Infine, renderà migliore la trasparenza nel mercato del lavoro, evitando di imporre oneri eccessivi alle imprese.

Entriamo qui nel dettaglio dello schema di dlgs approvato.

Per intanto, sotto il profilo squisitamente soggettivo, i destinatari della disciplina sono¬: lavoratori con contratti di lavoro subordinato, compreso quello agricolo, a tempo indeterminato, determinato e anche a tempo parziale; lavoratori impiegati con tipologie contrattuali non standard; lavoratori domestici, fatta eccezione per alcune disposizioni (articoli 10 e 11 dello schema di Decreto trasparenza sul lavoro); lavoratori con contratti a zero ore; lavoratori marittimi e lavoratori della pesca, salva la disciplina speciale vigente in materia.

Lo schema di decreto trasparenza sul lavoro amplia il campo di applicazione soggettivo della relativa disciplina estendendolo, come accennato, ai lavoratori impiegati con tipologie contrattuali non standard. Non si applica, invece, ai rapporti di lavoro autonomo, purché non integranti rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

Relativamente al contratto di lavoro, esso prescrive che il datore è tenuto ad informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro. Prevede, inoltre, altri obblighi informativi nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.

Le ulteriori informazioni che il datore di lavoro deve fornire sono: luogo di lavoro; sede o domicilio del datore; diritto di essere informato della programmazione dell’orario normale di lavoro e delle condizioni relative al lavoro straordinario in caso di organizzazione in tutto o in gran parte prevedibile; inquadramento, livello e qualifica del lavoratore; data inizio rapporto di lavoro; diritto di ricevere l’informazione erogata dal datore di lavoro; tipologia del rapporto di lavoro; diritto di conoscere anche gli altri congedi retribuiti oltre le ferie; indicazione degli istituti previdenziali e assicurativi che ricevono i contributi versati; le ore e i giorni in cui si deve svolgere la prestazione lavorativa e il periodo minimo di preavviso; nel caso di sistemi di decisione di monitoraggio del lavoro automatizzati, le modalità di funzionamento di tali sistemi e quali parametri vengono utilizzati per valutare le prestazioni e i processi di correzione dei controlli automatici; mutamenti del rapporto di lavoro dopo l’assunzione; il riferimento all’eventuale responsabile del sistema qualità aziendale; eventuale riferimento all’identità delle aziende utilizzatrici, per i lavoratori in somministrazione.

In base allo schema di decreto, il datore di lavoro deve adempiere ai nuovi obblighi informativi consegnando al lavoratore, all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro e prima dell’inizio dell’attività lavorativa, alternativamente: contratto di lavoro scritto; copia della comunicazione telematica di instaurazione del rapporto di lavoro.

Se questi documenti non contengono le informazioni richieste, l’obbligo informativo dev’essere integrato con un successivo atto scritto. In tal caso, va consegnato al lavoratore entro 7 giorni dall’instaurazione del rapporto di lavoro.

La violazione (ovvero il mancato, incompleto, ritardato assolvimento) degli obblighi informativi, sarà punita con sanzioni fino a 1.500 euro a lavoratore, partendo dai 250 euro.

I datori, su richiesta scritta del lavoratore, hanno 60 giorni di tempo per fornire le informazioni richieste e scongiurare l’irrogazione di pesanti sanzioni economiche.

La violazione degli obblighi informativi sarà punita con sanzioni fino a 1.500 euro a lavoratore.

Sul periodo di prova dedotto in contratto, stabilisce che esso non può superare i sei mesi, fatte salve eventuali durate inferiori previste dai Ccnl. La motivazione risiede nella necessità che il lavoratore non prolunghi oltremisura una situazione di incertezza lavorativa dovuta proprio all’eccessiva durata del patto di prova. Durante il periodo di prova, ciascuna delle parti potrà recedere dal contratto di lavoro, senza obbligo di preavviso o di relativa indennità.

Una novità di rilievo sta nella previsione, contemplata dallo schema di decreto, che dà al lavoratore (non marittimo e non del settore della pesca) diritto a svolgere parallelamente un altro lavoro, al di fuori dell’orario sancito dal suo contratto. Il datore non potrà vietarlo. Questa doppia attività lavorativa, però, non deve: comportare rischi per la salute e la sicurezza del dipendente; causare un mancato rispetto dei riposi; generare un conflitto d’interessi tra le due attività.

Ancora, si riconosce ai lavoratori (non a tutti) il diritto di richiedere un impiego più stabile al proprio datore. La richiesta può essere fatta dopo un periodo di 6 mesi di servizio, anche non continuativo. Il datore fornisce risposta motivata entro un mese, ma non è obbligato a concedere la transizione ad altra forma di lavoro. In caso di risposta negativa del datore, la disposizione prevede che il lavoratore possa presentare una nuova richiesta dopo che siano trascorsi almeno 6 mesi dalla precedente.

Una misura giusta, al passo con i tempi, è la previsione che la formazione necessaria per lo svolgimento dei compiti erogata dal datore di lavoro venga garantita gratuitamente. Tale formazione va considerata come orario di lavoro e, ove possibile, va svolta in concomitanza.

Chiude la presente elencazione delle novità che il decreto, ufficializzato in Gazzetta, immetterà nel nostro ordinamento, la questione della violazione dei diritti dei lavoratori, che potranno ricorrere ad alcuni meccanismi rapidi di risoluzione delle controversie senza dover adire il giudice. In particolare, è prevista la facoltà di: esperire il tentativo di conciliazione presso gli uffici territoriali dell’Ispettorato Nazionale del lavoro; ricorrere ai collegi di conciliazione ed arbitrato; rivolgersi alle camere arbitrali istituite presso gli organi di certificazione previste dall’articolo 76 del Decreto Legislativo n. 276 del 2003.

Da ultimo, il divieto di licenziamento prevede che siano vietati il licenziamento e i trattamenti pregiudizievoli del lavoratore conseguenti all’esercizio dei diritti previsti dalle nuove norme.

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